Il modello del management umanistico

Il binomio che coniuga economia e umanesimo si sviluppa in una tradizione di pensiero con radici antiche, che affondano nel fertile terreno dell’Umanesimo del Quattrocento. Con uno sguardo capace di vedere oltre il ritorno immediato, gli imprenditori dell’epoca investirono parte dei propri profitti in infrastrutture e servizi a disposizione della comunità, in monumenti e luoghi di culto, nella consapevolezza di quanto il benessere dei lavoratori e dei cittadini potesse contribuire allo sviluppo delle attività economiche e della società stessa. Una visione avanguardistica, su cui si è strutturato lo sviluppo economico dei secoli successivi, fino alla grande svolta del secondo Dopoguerra.

Le fragilità del modello speculativo

Vinto il conflitto e sancita la centralità del dollaro americano, gli Stati Uniti degli anni ’50 furono il primo palcoscenico del grande boom economico, in cui le politiche liberistiche si affiancarono alla nazionalizzazione di settori strategici dell’economia. Delegando in toto allo Stato l’impegno di garantire i servizi necessari ai cittadini, venne meno la responsabilità civile degli imprenditori, il cui obiettivo non era più la realizzazione di uno sviluppo personale e sociale, ma la mera massimizzazione del profitto

La soluzione è il welfare civile, fondato sul principio di sussidiarietà circolare, cioè sulla collaborazione tra tre soggetti: ente pubblico, imprese e società civile. Un’idea nuova di economia e di società

Si affermò così la tendenza a una finanza speculativa, che stravolse il modo di concepire l’economia e il suo ruolo nella civiltà: il mercato divenne il luogo esclusivo dell’utilitarismo, lasciando ad altri ambiti della vita sociale i temi dell’altruismo e della filantropia. Un modello che, nei decenni successivi, ha mostrato tutte le sue fragilità, con un Welfare State penalizzato da una non sostenibilità fiscale e incapace di rispondere in modo adeguato ai diversi bisogni delle persone.

Generare valore condiviso: un nuovo mercato sostenibile

Negli ultimi due decenni, e con maggiore forza sulla scia della pesante crisi economica del 2008, è sorta dunque la necessità di un ripensamento del modello di sviluppo, che punti sull’innovazione e la sostenibilità, all’interno di un sistema in grado di creare valore condiviso per tutti.
L’azienda come comunità di persone operanti per la collettività è una realtà sostenibile se le sue attività hanno un valore per la società, per l’ambiente e per la cultura. In una visione globale di impresa non è lungimirante investire in un soggetto la cui unica prospettiva è l’aumento dei ricavi: un’azienda votata esclusivamente alla massimizzazione del profitto, infatti, non può essere sostenibile sul lungo periodo ed è destinata ad esaurirsi.
Concetti che oggi, grazie alla condivisione globale delle informazioni, sono alla portata di tutti i cittadini, che compiono le proprie scelte, consapevoli della propria responsabilità nella sostenibilità della società e dell’ambiente. Si è avviato un processo di trasformazione della domanda, che apre alle imprese più lungimiranti un nuovo mercato sensibile e in continua espansione e che lascerà ai margini le aziende non sostenibili, destinate ad essere considerate come obsolete e cristallizzate in un modello ormai superato.